Come abbiamo avuto modo di approfondire, il TFR, Trattamento di Fine Rapporto, è una somma di denaro che spetta ai dipendenti pubblici e privati al termine del rapporto di lavoro. Il TFR differisce dal TFS, destinato unicamente ai dipendenti pubblici e statali, ma entrambe le soluzioni hanno lo stesso scopo.
Nel corso della vita lavorativa di una persona, però, ci possono essere periodi particolari, situazioni di contingenza che costringono le aziende a ricorrere a misure eccezionali per sopravvivere. Ne è un esempio la recente pandemia da Covid-19 che ha messo sotto scasso molte piccole e medie imprese in Italia, provocando un periodo di remissione generale che ha costretto tante realtà a ricorrere a periodi più o meno lunghi di cassa integrazione per sopravvivere.
Cosa succede al TFR del dipendente che si trova in cassa integrazione? Questo capitale destinato al lavoratore al termine del rapporto di lavoro continua a maturare in questo periodo stop forzato? E se si, chi è responsabile dei pagamenti mensili? Facciamo chiarezza in tal senso.
Prestazione di lavoro sospesa: il pagamento della quota mensile di TFR

Secondo quanto decretato dalla legge 2120 e successivamente ribadito dal Job Act del 2015, il TFR continua a maturare anche nei periodi in cui il dipendente viene messo in cassa integrazione e la quota che il datore di lavoro è tenuto a versare mensilmente è la stessa che sarebbe stata versata in caso di busta paga regolarmente percepita dal dipendente.
E se l’azienda dovesse fallire?

In caso di fallimento dell’azienda, questa è tenuta a versare comunque il TFR maturato al lavoratore, sebbene in questo caso i tempi dei versamenti possono allungarsi di molto.
Nel caso in cui l’azienda si sia avvalsa preventivamente dell’esonero dal pagamento delle quote di accantonamento del trattamento di fine rapporto, sarà l’INPS a versare direttamente il TFR ai dipendenti in cassa integrazione.
